Lettera aperta ai fratelli dell’Alleanza Evangelica Italiana

L’Alleanza Evangelica Italiana, nel panorama dell’evangelismo nostrano, può paragonarsi a una elogiabile formica che trasporta un peso di gran lunga più oneroso del suo corpicino. Belle battaglie sull’etica pubblica, sulla libertà di religione, sui cristiani perseguitati, sul rapporto con il cattolicesimo romano. Però è formica che, per quanto abbia io sperimentato, si mostra poco proclive a ricevere sinergie e collaborazioni. Io stesso dell’AEI ho fatto parte per un lustro, credo, ma senza mai riuscire a dar sul serio una mano. Valga la mia esperienza di consigliere per vari anni del Distretto dell’Italia Centrale, mai riunitosi per affrontare quelle che sarebbero state le sue funzioni nell’economia dell’organizzazione associativa generale. Forse sarà perché i vertici hanno le idee già chiare e distinte sui punti di partenza, di arrivo e di percorso. Mi piace pensare che forse è così, anche se gradirei che talvolta fossero ascoltati anche i comuni mortali.

Fioccano invece dichiarazioni a nome dell’associazione tutta, firmate con sigle ermetiche di due o tre (più spesso) lettere siglanti. Ma l’attivazione dei Comitati, come prevede da lunghi anni lo Statuto associativo, pur se votata favorevolmente dall’Assemblea dei soci, su mia proposta, già tre anni or sono, rimane ancora oggi un pio desiderio. Peccato! Lo Statuto dell’AEI, infatti, prescrive in più parti che questi Comitati, distinti per materie diverse, siano eletti dall’Assemblea (organo sovrano) e non nominati tra i pochissimi medesimi, visto il clima dottrinale, ‘predestinati’.

Vi prego, fratelli cari, attivate finalmente i Comitati per libera elezione o, per lo meno, non criticate il Vaticano in quanto gerarchia ingessata fino a quando, in attuazione del vostro stesso Statuto, non sostituiate l’istituto dell’elezione al posto della prassi della nomina.

Ho tentato di essere utile anche nella modifica dello Statuto. Invano. All’articolo 3.2c di quello vigente leggiamo: “Noi crediamo nel nostro Signore Gesù Cristo, unico mediatore, Dio manifestato nella carne”. Questa è un’eresia grande come un palazzo! Si tratta di docetismo gnostico puro e semplice. La Bibbia, la costante tradizione della Chiesa, il pensiero della Riforma insegna che Dio non si è manifestato ma si è incarnato in Gesù! Si ritorni a Gv. 1,14 “la Parola è fatta carne”. L’eresia secondo la quale Dio si sarebbe manifestato in Gesù, ma non sarebbe “venuto in carne (= incarnato”) è addirittura qualificata come il segno dell’anticristo in 1 Gv. 4,2-3. Vi supplico: cancellate la blasfemia e sostituitela con le parole di Giovanni: “Dio fattosi carne”!

E non mi si dica che: 1. altri articoli di fede attestano da parte dell’AEI la credenza nell’incarnazione, poiché mille buone frasi non ci autorizzano a pronunciare una bestemmia; 2. Gli articoli di fede dello Statuto non possono essere cambiati: no! È la Bibbia che non può essere cambiata, non le nostre umane dichiarazioni di fede: equiparare di fatto queste ultime alla Scrittura è altra grande blasfemia; 3. in 1 Tim. 3,16, così come tradotto nella Diodati, si dice che Dio si è manifestato in carne: questa traduzione è inaccettabile poiché si basa su una interpolazione del Codex Cantabrigensis laddove tutti i più antichi manoscritti (che Diodati non poteva ancora conoscere) affermano che Cristo si manifestò in carne, non Dio; leggete il Nuovo Testamento in greco (o fatevelo spiegare).

All’assemblea del 31 non ci sarò. L’esperienza di anni mi ha insegnato che le possibilità di contribuire intervenendo concretamente alla gestione associativa sono pressoché nulle. Affido la mia riflessione ai vertici e, principalmente, alla base associativa tutta. Liberi di fare come crederanno. Io a uno strisciante gnosticismo preferisco il prologo giovanneo; agli amori non corrisposti non credo più. Il tempo, quando non si è più giovani, come nel mio caso, è prezioso: va amministrato oculatamente.

Giancarlo Rinaldi

P.S.: Soltanto se richiesta e, principalmente, se utile mi riservo di fornire documentazione analitica ed esaustiva di quanto sopra rilevato.

 

 

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4 risposte a Lettera aperta ai fratelli dell’Alleanza Evangelica Italiana

  1. Oreste Fortuna scrive:

    Quando ci si preoccupa di utilizzare decisioni collegiali é più facile smarrire il consiglio divino. Proverbi 13:1

  2. Ivano De Gasperis scrive:

    La questione centrale non credo sia il docetismo, né la ricostruzione del testo più autorevole andando a distinguere un nomina sacra da un pronome, ma la nostra capacità di condivisione nei processi decisionali. Nessuno nell’Alleanza immagino neghi l’umanità di Gesù, il vero e più insidioso docetismo è quello che abita tutte le strutture che hanno il nome di Chiesa ma poi dimenticano di esserlo in quanto Comunità e Assemblee, senza altro capo (men che meno capi) oltre a Cristo. Ma questo è un problema non solo di Roma, ma di ogni nostra realtà umana. A noi il privilegio di onorare la Riforma e il Signore che la produce, accogliendo senza timori, ogni occasione di essere riformati, sempre adeguandoci alla Sua Parola. Spero che da questa discussione possiamo accrescere la nostra capacità di comunicazione, nell’ascolto reciproco, nella valorizzazione delle specificità e delle competenze in uno spirito fraterno e sorerno.

    • Caro DE Gasperis, hai fatto centro! Grazie. la mia ‘battaglia’ non è di filologia neotestamentaria ma per restituire all’organo sovrano dell’associazione, all’Assemblea, quel diritto di esprimersi sull’art. 3 dello Statuto che era stato impedito dal “cerchio magico” dei vertici. A prescindere da quello che sarà il parere maggioritario dell’Assemblea l’importanza è che questa sia non suddita ma protagonista. V’è poi il discorso sulla creazione delle Commissioni… questa è faccenda diversa ma che rientra nel quadro che tu hai delineato.

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