Che fine ha fatto il metodismo italiano?

Mi perviene un articolo di notevole interesse (e di cui alla fine inserisco il link) il quale analizza la situazione del metodismo nell’Italia di oggi e perviene alla conclusione secondo la quale questo sarebbe quasi scomparso a motivo dell’improvvida sua unificazione che ebbe luogo con la chiesa valdese. Svuotamento delle chiese, abnorme innalzamento dell’età media dei pochi frequentanti, liquidazione dello storico patrimonio immobiliare, etc.

Io non entro nel merito dell’impietosa analisi: i dati statistici, positivi o negativi che siano, sono attingibili altrove e non v’è bisogno che io li riecheggi. Mi sta a cuore, invece, formulare qualche riflessione sulle cause del fenomeno che, onestamente, non possiamo frettolosamente rubricare come inesistente.

Prima che i suoi numeri credo che il metodismo italiano abbia perso la sua identità, proprio così: la sua peculiare anima wesleyana. Ed a questo fenomeno ricondurrei ogni altra evoluzione (o involuzione). Un po’ di storia: vi fu un’epoca in cui le missioni metodiste (wesleyane inglesi o episcopali americane) costituivano l’ala marciante dell’evangelismo italiano. Si era tra le ultime decadi dell’Ottocento e il primo ventennio del secolo successivo. Venivano edificati templi ancora oggi ammirabili, venivano aperte case editrici, pubblicati giornali, v’era un istituto teologico, la qualità dei pastori era encomiabile per zelo, cultura, apertura mentale. Bibbia e innario metodista costituivano un dittico diffuso nelle strade, nelle case, nelle zone più povere della nostra Italia. Questa predicazione, sempre sensibile alle istanze sociali dei più poveri, aveva al centro e nel cuore la dottrina della salvezza (nuova nascita, conversione) per fede in Cristo e l’altra della santificazione del credente (detta perfezione cristiana, seconda opera della grazia, battesimo di Spirito Santo).

Questo assetto (evangelistico e risvegliato) dopo la seconda guerra mondiale entrò in contatto con le riflessioni, acute e pregiate, che nel valdismo venivano avanzate da pastori intellettuali come Giovanni Miegge: si voleva portare in Italia Barth e la sua teologia condendola con una sensibilità che non poteva più dirsi tout court sociale, ma già era ‘politica’ poiché già configurava abbracci tra chiese e liste elettorali. Il fenomeno andò accentuandosi negli anni ’60 e si ebbe una innegabile svolta politica che porto il valdismo a posizioni contigue (e sovente ancillari) alla sinistra politica italiana, diciamolo chiaramente al PCI. Questo fenomeno contagiò allora e nel decennio successivo alcuni vertici incisivi del metodismo italiano (che nel frattempo aveva abbandonato la vecchia dicotomia wesleyani / episcopali). La base per l’intesa valdo metodista non fu teologica e tale non avrebbe mai potuto essere: riformati e calvinisti i valdesi, arminiani e wesleyani i metodisti. L’intesa si nutrì piuttosto di propositi di impegno politico, fuori dalle chiese e dentro, così come d’opportunità amministrative.

Era questa l’epoca in cui, da giovane, io potevo ascoltare le accorate lamentele a Portici del pastore metodista Santi, ‘apostolo’ di Casa Materna, contro “questa politica che tanto sta facendo soffrire le nostre comunità”. Vox clamantis in deserto. Il dado era tratto e il metodismo italiano si presentò al matrimonio con i valdesi avendo gettato a mare la sua dote, che pur avrebbe potuto e dovuto arricchire la nuova casa comune. E quella dote era la predicazione di salvezza, di risveglio e di santità che decenni prima aveva risuonato!

Fu allora necessaria anche un’operazione di rimozione storiografica per cui la storia del metodismo italiano fu presentata in edizione riveduta e (s)corretta: dei pastori massoni qualche cenno reticente e imbarazzato: erano considerati pecore nere, laddove nella realtà dei fatti erano stati gli edificatori dell’Opera in Italia; della dottrina wesleyana non ne venne fuori un ricordo neanche a cavarlo fuori con le tenaglie: tutto ciò che il metodismo portava in dote era l’impegno sociale che già era impegno politico: la “santità sociale” di Wesley fu tradotta in “votate e fate votare”: aliud pro aliquo.

Certo un po’ ci si meraviglia quando si pensa a quanti in casa metodista presero la penna in mano per descrivere la loro storia: i metodisti italiani erano descritti dapprima  come rivoluzionari anelanti al sol dell’avvenire socialista, poi catalizzatori di scelte politiche, ed ora quasi, a sentirli predicare…, funzionari di partito. Sirena desinit in piscem! Dell’anima wesleyana e risvegliata nemmeno più l’ombra!

Tornando all’epoca dell’intesa valdo metodista possiamo dire che si sarebbe dovuto agire diversamente: si sarebbe dovuto tutelare la dote specifica dell’ala metodista e renderla fattore d’evangelizzazione e di edificazione della comunità unificate che nascevano, non nascondere questo prezioso patrimonio peculiare come se fosse paccottiglia antiquaria.

Ne ha sofferto la storiografia metodista, mutilata della sua parte più significativa. Nel mio piccolo ho tentato di ricostruirla sia pur a macchie; la trovate espressa in un mio articolo su La santificazione in Wesley come tema ecumenico in questo blog è scaricabile nella pagina della Bibliografia.

Sì amici,cari, in conclusione: vi fu un’epoca in cui in Italia i metodisti italiani facevano l’appello alla conversione e predicavano il Battesimo di Spirito Santo. Non lo dimentichiamo. E se questo è vero, come sappiamo, essere vereo, forse sarebbe più corretto dire che il metodismo è scomparso non ora ma allora, con l’erosione della sua anima dottrinale ed esperienziale.

Giancarlo Rinaldi

http://www.lapaginacristiana.it/2017/09/10/la-scomparsa-del-metodismo-in-italia/

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