Riccardo Gagliani di san Mauro

Riccardo Gagliani (S. Maria Capua Vetere, Caserta, 7.1.1886 alle ore 7 di mattina_ – Napoli 25.3.1961).

Zio Riccardo fu battezzato tre giorni dopo la sua nascita, nella Chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo di S. Maria Capua Vetere.

Colonnello di Cavalleria; sposò Eleonora De Sido. Ebbe i seguenti figli: Mario, Luigi, Bianca. Riusciva a conciliare aspetti apparentemente contrastanti: la bonomia del gentiluomo napoletano, la formazione dell’ufficiale di cavalleria, la filosofica rassegnata pazienza verso persone, situazioni difficili e cambiamenti epocali.

Zio Riccardo mi funse egregiamente da nonno. In realtà il mio nonno materno, Vincenzo Puoti, era morto nel lontano 1927. Il nonno paterno, dal canto suo, viveva con la nonna al Vomero e lo vedevo poco. Non era il caso che zio Riccardo raccontasse favole o storie inventate. Era molto più interessante e carezzevole il suo rievocare la vita militare, la Grande Guerra del 1915-1918. In particolare da bambino rimanevo colpito dalla descrizione delle manovre di carica della cavalleria, veri e propri assalti di guerra, quando il cavaliere sguainava la spada ponendola lateralmente all’occhio del cavallo e lo spronava al grido di “Avanti Savoia!”. Zio Riccardo mi raccontava spesso di essere amico di due personaggi formidabili: Sandokan e Kammamuri, gli eroi salgariani che già infiammavano la mia infantile fantasia. Il massimo dell’attenzione lo si raggiungeva quando prima di uscire, specialmente d’estate, vestito di tutto punto con un cappello bianco di panama e l’immancabile bastone, mi diceva solennemente che andava a parlare con uno dei due eroi. Attendevo con ansia il ritorno per sapere delle ultime prodezze dei pirati malesi. Zio Riccardo aveva una glicemia alta e, perciò, non avrebbe dovuto mangiare dolci. La sorella, zia Maria, sempre attenta agli aspetti connessi alla salute, aveva il còmpito di vigilare su questa dieta del fratello. Ma la sua autorità era limitata entro le mura domestiche. Un giorno vidi la zia spazientirsi in quanto era certa che il fratello, che era uscito, sarebbe sicuramente andato in pasticceria a ‘trasgredire’. Fu allora che io, ultrasicuro, le dissi: “impossibile, è andato ad incontrare Kammamuri”. La zia mi smentì dicendo che non era vero e che se mi fossi affacciato al balcone lo avrei visto uscire da una pasticceria mangiando. Incredulo mi affacciai e, immancabilmente, scorsi con chiarezza la sua sagoma uscire dal negozio con in mano un dolce che divorava con gustosa speditezza. Non vi racconto quale non fu la mia delusione! Capì che gli eroi salgariani vivevano nella giungla malese o indiana (o forse soltanto nella mia fantasia!) e non nelle traverse di via Toledo a Napoli. Ricordo che zio Riccardo molto spesso era assorbito dai suoi pensieri e, masticando la sua stessa lingua (com’era sua abitudine), esclamava “gnognera!”. Gli chiedevo sempre cosa significasse questa parola, ma lui non mi rispondeva mai chiaramente e, aumentando la mia curiosità, si limitava a dirmi che la “gnognera” si nascondeva in ogni anfratto della casa. Fu soltanto nel 2009 che scoprii cosa questa parola significasse: era un termine spagnolo che potrebbe tradursi “lamento cantilenante”.

 

 

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