Pentecostali e predestinazionisti? Tutto e il contrario di tutto!

Augustus Nicodemus è pastore presbiteriano in Brasile. Ostenta un curriculum nutrito di diplomi e perfezionamenti, si fa fotografare presso scaffali pieni di libri. Non saprei dire se di tanti studi abbia effettivamente acquisito i contenuti e se da tanti libri abbia poi realmente tratto profitto.

Ora è passato agli onori della cronaca per aver solennemente proclamato che i pentecostali poiché sono carenti di pensiero teologico stanno migrando verso le comunità ‘riformate’ (leggasi: calviniste) dove, sì davvero, c’e trippa per gatti: teologia sistematica a go go, rigore di pensiero e poi last but not least… volete mettere: che bello scoprire di essere nati speciali con già in tasca il biglietto di destinazione verso il paradiso laddove tutto il resto intorno non può scendere dal treno che li sta conducendo all’inferno.

L’ultimo proclama del dr. Nicodemus: le Assemblies of God, la più cospicua dominazione pentecostale statunitense sorella maggiore delle nostre Assemblee di Dio italiane, hanno fatto il loro tempo: meglio smantellare tutto, dichiarare fallimento, abbassare la serranda e trasferirsi nella piccola Ginevra sulle rive brasiliane del Rio delle Amazzoni.

Di tale faccenda qui da noi in Italia qualcuno ne ha fatto cenno, e bene ha fatto: la questione è piuttosto seria. Intendo non quella dello smantellamento delle chiese pentecostali, bensì l’altra – vivace in Italia – degli sforzi missionari, garbati, indiretti, sottili, quando non criptici, di seguaci del verbo calviniano affinché i fratelli pentecostali si persuadano che è possibile parlare in lingue ed essere nello stesso tempo riformati, cioè credere nella dottrina della predestinazione la quale qui in Italia non è servita in salsa calvinista bensì in quella della ben più radicale ‘scolastica’ calvinista; per intenderci in quella di Francesco Turettini e Girolamo Zanchi.

La galassia pentecostale, per quanto se ne possa parlar male, è quella nel nostrano protestantesimo che più cresce e che riesce a riunire ai culti e nelle tende evangelistiche centinaia di persone: che ghiottoneria per quei salottini, illuminati ma esigui, di protestanti che cercano le “truppe cammellate” al fine di educare politicamente o di ‘riformare’ salendo in cattedra! Il guaio è che alcuni fratelli pentecostali ci cascano! Certo non mancano tristi casi di “circonvenzione di incapaci” dei quali non mette conto interessarsi, ma preoccupano quanti, in buona fede e sani di mente, si persuadono che devono ‘emigrare’ teologicamente perché in casa loro di cibo non ce ne è laddove i granai predestinazionisti sono sempre gravidi di ogni ben di Dio e, si sa, era già tutto predestinato e bell’e confezionato.

Cosa ne penso? Per quel che possa valere il mio pensiero di modesto storico del cristianesimo, mi limito a rilevare quanto segue:

  1. Questi fratelli riformati predicano sempre ai pentecostali che possono abbracciare le loro dottrine predestinazioniste ma mai, dico mai, li ho ascoltati asserire il simigliante e cioè che i riformati possono sperimentare un battesimo di Spirito santo con segno visibile delle lingue. Insomma costoro sono bravi a costruire strade a senso unico, dove da Azusa Street si vada a Ginevra, ma nessun ginevrino ardisca pensare di partire verso Los Angeles!
  2. Chi ha detto che i pentecostali non hanno una teologia? Si faccia parlare la storia: il movimento pentecostale è nato in una scuola biblica, nel seno delle correnti metodiste e di santità di inizio Novecento. Vogliamo dire che il metodismo non ha una sua teologia? Diciamolo pure ma prepariamoci ad essere bocciati al primo esame di storia del cristianesimo. Il metodismo ha una Signora Teologia che concilia studi biblici, patristici, risveglio e Cultura da scriversi con la ‘C’ maiuscola. Possiamo dire che tale teologia non ci piace? Bene, ma allora prepariamoci a dichiarare cos’è in particolare che non gradiamo.
  3. La teologia riformata non ha una chiara e matura dottrina della santificazione. Sì, avete letto bene: di quella “santificazione senza la quale nessuno vedrà il Regno die cieli”. Per il riformato l’uomo, anche dopo la sua conversione e giustificazione, rimane sempre peccatore poiché egli è solo ‘dichiarato’ santo, alla stregua di un criminale in un processo che riceve sì la grazia e può andar via dal carcere ma mai perderà la sua natura delinquenziale. Per la tradizione wesleyana, che ha allattato e nutrito egregiamente il movimento pentecostale, quando Paolo chiamava i suoi lettori ‘santi’ non li prendeva in giro, né giocava con le parole. Dio, infatti, dopo aver perdonato i peccati al momento della giustificazione, realmente realizza un percorso esperienziale di santificazione, sempre per grazia e non per meriti: il credente diventa effettivamente un “uomo nuovo”, Dio è potente di cambiagli il cuore e i desideri; e questi desideri ora orientati verso l’Alto costituiscono il frutto della santificazione, seconda opera della grazia dopo la conversione che è la prima. Definire ‘perfetta’ questa esperienza del cristiano non significa asserire che mai più egli sbaglierà, ma vuol dire che il piano di Dio per l’uomo è attuato fino in fondo.
  4. Sapete dirmi cosa potrebbe rappresentare una esperienza di glossolalia realizzata da un calvinista? Se partiamo dalla convinzione che la glossolalia segna il battesimo di Spirito santo mi dovrà dire il fratello calvinista in cosa consiste questo ‘battesimo’ se non v’è nel credente una reale esperienza di cambiamento interiore ma, al contrario, soltanto una “dichiarazione forense” (formale, pertanto, e non reale) di santità?

Conclusione.

Cari fratelli calvinisti, vi ammiro pe il vostro zelo di ‘ammaestrare’ a destra e a manca ma ricordate il vostro Agostino (che caro dovrebbe esservi) allorquando parlando dell’opera del maestro disse che questa consiste nel far emergere nell’uditore il proprio “Maestro interiore”. Proprio così, la Formazione del credente non è la colonizzazione di popoli senza civiltà, bensì il caritatevole servizio di far emergere le identità di chi ascolta rispettandole, specie se queste – come nel nostro caso – sono già rispettabili.

Cari fratelli pentecostali, vi ammiro quando cercate conoscenza e formazione. Bene fate, ma prima di uscire di casa ad acquistare quel che credete vi manchi, guardate un po’ meglio se tutto quanto non lo avete già in casa e, pertanto, basterà soltanto valorizzarlo adeguatamente, riscoprirlo o apprenderlo, fieri di quel che siete e non complessati per quel che temete di sembrare.

Nessuno se ne abbia a male, neanche il nostro Nicodemus: la teologia riformata d’ispirazione calvinista è qualcosa di serio e di rispettabile ma non è l’unica teologia. Nessuna “teologia sistematica” può dirsi in esclusivo vera ed unica: esistono le (plurale) teologie sistematiche che sono uno splendido prodotto degli uomini che tentano di ‘sistemare’ le asserzioni della Bibbia. Sono queste ultime ad essere uniche, eterne, cogenti. Non confondiamo la lana con la seta: la Bibbia è parola di Dio, la teologia – quale che sia – è tentativo umano, nobile per quanto possa essere ma sempre umano. E ciò vale anche per Calvino, figurarsi poi per gli epigoni turettiniani e zanchiani!

Giancarlo Rinaldi

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4 risposte a Pentecostali e predestinazionisti? Tutto e il contrario di tutto!

  1. Gianluca Nuti scrive:

    Professore è evidente che lei le chiese pentecostali le studia ma non le frequenta; se lo lasci dire da uno che ci si è convertito dentro: la nobile storia del pentecostalismo, la rispettabile teologia metodista naturalizzata protestante di cui parla, tutto questo “cibo” che secondo lei non manca in casa pentecostale è solo nei libri, o per rimanere in metafora nella dispensa, e a tavola non ci arriva mai. Arrivano nel piatto i sapori forti, tanto sale e tanto peperoncino, ma manca la sostanza.
    Oltretutto non capisco perché dalla sua riprensione finale ai pentecostali manca qualsiasi cenno al vangelo della prosperità che imperversa fra i pentecostali e i carismatici ovunque nel mondo e inizia a farsi vedere anche in Italia da qualche tempo: i sapori forti si sa producono assuefazione, bisogna aumentare le dosi, e presto si supera il limite.

    • Caro Nuti, penso di poter dire che frequentavo le chiese pentecostali quando suo padre portava i pantaloncini corti. Si lasci servire, la prego. Questa materia l’ho anche insegnata per decenni nelle università. Rimanendo nella metafora: se nelle chiese pentecostali il cibo non arriva mai a tavola, si alzi lei e vada a prenderlo in cucina. Se poi non v’è niente di suo gusto, cucini lei. Scoprirà che se oltre a studiare si serve anche la fratellanza c’è ancòra più gusto. E se poi le renderanno difficile svolgere questo servizio in casa pentecostale ne cerchi un’altra senza necessariamente dire che il cibo dei pentecostali era avvelenato, forse qualcosa non andava in chi avrebbe dovuto apparecchiare la tavola. Un fraterno abbraccio, figliolo!

      • Gianluca Nuti scrive:

        Perdoni il tono concitato, ho dimenticato il garbo nella foga – d’altronde l’argomento mi sta a cuore, come certamente anche a lei. Ho avuto il piacere di ascoltarla in diverse occasioni, perciò so quanta autorevolezza portano le sue parole.
        Purtroppo la più grande “casa” pentecostale in Italia è proprio quella che non sembra molto portata per la gastronomia, e si renderà conto di quanto questo pesa nella valutazione del pentecostalismo italiano. Quando poi si è trattato di alzarmi e andare a prendere il cibo da me, in cucina non ho trovato niente che mi sfamasse, e andando al supermercato ho notato che proprio i cibi che ritenevo più nutrienti venivano messi in carrelli diretti non a casa mia o altre simili (pentecostali) ma diretti in casa riformata. Posso ritenerlo una coincidenza la prima volta, ma non la terza e la quarta. Ho iniziato a pensare, forse sbagliando?, che se volevo mangiare sano dovevo traslocare.
        Sarà un’esperienza isolata la mia, ma credo che in qualche modo sia emblematica.
        Ho tanto rispetto e ammirazione per i pionieri pentecostali perseguitati, e per i fratelli che negli anni 60 evangelizzavano e gettavano le basi della maggiore denominazione evangelica italiana. Ma sono restio a credere che lo Spirito Santo si muova solo nel fuoco e nel terremoto, a volte Dio è nel vento leggero (come capì Elia a suo tempo). Oltretutto come ho accennato credo che la convinzione che Dio sia sempre e solo nel vento forte ha portato il pentecostalismo a rompere gli argini su diversi fronti dottrinali, leggasi teologia della prosperità e del benessere – per quanto lei la definisca una “cafonata pseudoteologica” resta il fatto che essa è una realtà, in USA nel mondo e ora anche in Italia.
        Non credo di avere le credenziali per rispondere alle sue 4 questioni, anche se ho la mia personale risposta per ognuna.
        Ricambio il suo fraterno abbraccio.

  2. Caro Gianluca (posso darti del ‘tu’?), non scusarti per la concitazione dei toni: fa parte dell’amore che portiamo verso ciò in cui crediamo. Della tua analisi sul pianeta pentecostale condivido ogni virgola (purtroppo). Il pentecostalesimo italiano è nato tra gente ‘semplice’ (leggasi: senza istruzione e senza voglia di acquisirne) perché allora di soldi non ve ne erano molti e bisognava faticare per portare il pane a casa. Onore a quei contadini e operai! Diversa, diversissima è la situazione odierna. All’agiatezza di molti, all’opulenza di alcune mense (nel senso letterale) non corrisponde un’adeguata formazione: “Frate’, la lettera uccide, io tengo l’unzione!”. Macerie mentali del genere dischiudono la porta al vuoto spinto che fa scappare i migliori e, credo, tu sia stato tra costoro. Io mi convertii in casa ADI, poi emigrai presso i metodisti (siano questi wesleyani o nazareni) dove trovai una teologia rispettabile e solida nella quale v’era spazio (e tanto) per conversione, santificazione e battesimo di Spirito. Amo tuttavia il mondo pentecostale che è pieno di ottime anime e che è indelebile nei miei verdi ricordi. Non mi affianco ai riformati (leggasi ‘calvinisti’) poiché non ne condivido la dottrina così come in embrione nelle Institutiones di Calvino e così come, esplicitata, nei can(n)oni del sinodo di Dort che giudico una pagina oscura e da dimenticare nella storia, sia della cristianità che della civiltà giuridica. Quella dei calvinisti non è la teologia sistematica, bensì una (delle tante) teologie sistematiche che loro propongono come unica esatta esercitando un’influenza, una persuasione verso i tanti pentecostali onesti che cercano formazione. Sì il neocalvinismo italiano è missionario, anzi colonialista e lo è con formule garbate, proclami ispirati e forme di pietà atte a far credere che esso, ed esso solo sia l’ancora che ci salva, noi evangelici, dalla fluidità di tutto il resto. Non mi permetto di condannare il pensiero calvinista (consacrato da secoli di storia) ma decisamente condanno la pretesa di essere l’unico pensiero che riconosce la ‘sovranità’ di Dio e gli dà gloria adeguata. La mia missione, nell’età che ho raggiunto, è quella di far emergere nel seno delle denominazioni la loro specifica anima teologica, non già imporne una spacciandola per unica vera. I fratelli evangelici vanno serviti non colonizzati. Se parlo contro la dottrina della predestinazione non mi rivolgo ai calvinisti (continuino a credervi) bensì ai non calvinisti, siano consapevoli o no di esser tali. Un abbraccio con tanta gratificazione per questo dialogo di cui ti ringrazio.

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