Quando metodisti e valdesi andarono a nozze.

Mi è stato chiesto un parere in merito all’unione che in Italia, intorno al 1975, ebbe luogo tra la Chiesa Valdese e quella Metodista. Notoriamente m’interesso di storia del cristianesimo antico, tuttavia l’argomento merita una riflessione e non esito a far presente la mia. Per quel che possa valere.

Premessa. Ho grande rispetto e amore per quelle due famiglie del protestantesimo italiano che rispondono al nome di valdesi e metodisti.

Dai valdesi abbiamo tutti imparato molto, in termini di tenacia, studio, onestà. È sui loro libri, editi dalla benemerita Claudiana di Torino, che abbiamo approfondito tanti temi di esegesi e di teologia. Ogni evangelico italiano è necessariamente un po’ anche valdese.

Dei metodisti abbiamo ammirato l’eroico sforzo evangelistico dopo l’unità d’Italia e per tanti decenni. Non dimenticherò mai le ore di edificazione trascorse nella vecchia Chiesa Metodista Wesleyana di via Sergente Maggiore a Napoli, un edificio stile inglese troppo frettolosamente fatto abbattere dopo il terremoto del 1980.

Ciò premesso devo però anche dire che il ‘matrimonio’ tra valdesi e metodisti fu celebrato in fretta, senza patti (teologici) chiari e senza fantasia. Qualcuno potrebbe anche parlare di “matrimonio d’interesse”, ma non è di questo che io voglio discettare.

Si era in Italia nel pieno clima dell’impegno politico; e questo clima era profondamente penetrato nelle dirigenze dei due organismi ecclesiastici. Sembrava (e la sensazione era netta) che la lotta di classe prevalesse su ogni altra agenda. Il “votate e fate votare” era l’esito implicito di molte, troppe predicazioni.

Fu in questo contesto che i metodisti italiani si presentarono alle nozze senza la loro dote. Questa era stata dimenticata. Il messaggio di Wesley, salvezza per i peccatori e santificazione per i credenti, era archiviato. La “santità sociale” di wesleyana memoria aveva ceduto il posto all’impegno sociale e questo, ancòra, al politico. La dimenticanza non fu il frutto di una congiunzione astrologica ma l’esito di quella che potremmo dire una “manovra a tenaglia”.

Da un lato i vertici della chiesa furono presi e compresi dall’agenda politica che costituì il collante efficace, laddove sull’eredità teologica e spirituale si preferì non insistere, direi quasi non far parola.

Dall’altro la storiografia sul metodismo italiano s’impegnò a rievocare quest’ultimo come il prodotto di garibaldini esagitati, socialisti furenti e partigiani eroici. Certamente queste figure vi furono e ancòra in noi suscitano ammirazione e rispetto. Ma il metodismo italiano fu, e per lunghi decenni, anche altro: fu passione per le anime, predicazione a ravvedimento dei peccatori, appello alla nuova nascita, proclama della piena santificazione, della “perfezione cristiana”. Un giovane e valido dottore di ricerca de La Sapienza ha recentemente analizzato tutte le pubblicazioni metodiste tra la seconda metà dell’Ottocento e le prime decadi del Novecento, oltre che i verbali di circuiti, comitati e assemblee facendo emergere la verità: il metodismo italiano è stato evangelico e wesleyano! Questo aspetto non risulta così chiaro, come ci si sarebbe aspettato, nelle pagine, sia pur autorevoli, di Giorgio Spini il quale preferì appiattire l’immagine del pastore metodista su quella del frequentatore di loggia massonica per poi giudicare dall’alto in basso quest’ultimo e liquidare il ‘massonevangelismo’ come una malattia esantematica del protestantesimo italiano.

La revisione storiografica che mise in ombra l’anima evangelica del metodismo italiano fu, nei fatti, funzionale all’unione del 1975. Non importava la differenza tra  arminiana dei metodisti e quella riformata / calvinista dei valdesi. L’ombra del Karl Barth disegnata nelle Valli Valdesi da Mario Miegge funse da vestito unico per l’una e l’altra componente che andava a unirsi. Da ricerche d’archivio risultano richieste e raccomandazioni da Londra per non cancellare il sapore del metodismo nel quadro complessivo del protestantesimo italiano. Appelli caduti nel vuoto.

Non voglio dire che l’unione in sé fu cosa negativa. Ma sarebbe stato opportuno che i metodisti avessero portato in dote la loro identità di movimento di risveglio. Oggi qualche osservatore malevolo ha rilevato che i metodisti in Italia non sono più wesleyani ma non sono ancòra valdesi. Un amaro paradosso, questo, forse non del tutto infondato.

Se il metodismo fosse rimasto tale, conservando le sue peculiarità, avrebbe potuto costituire quel ponte di dialogo che i valdesi hanno sempre auspicato e ricercato col mondo pentecostale. Tanto quest’ultimo quanto i wesleyani, infatti, convengono sulla dottrina della seconda opera della grazia, successiva alla conversione, e la chiamano battesimo di Spirito Santo. Non è poco.

Se, per assurdo, John Wesley volesse partecipare oggi a un culto evangelico in lingua italiana forse busserebbe alle porte di una chiesa pentecostale. Al netto dei decibel con cui si prega e dei singhiozzi con cui si glorifica, il pellegrinaggio cristiano che s’intravede e si compie è unico.

Giancarlo Rinaldi

 

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2 risposte a Quando metodisti e valdesi andarono a nozze.

  1. Sergio Rastello scrive:

    Peter Ciaccio (Amministratore del gruppo Riforma Protestante in Italia su FB)Non mi ritrovo molto in questa ricostruzione. Io sono convinto che la debolezza con cui i metodisti si siano presentati al “matrimonio” coi valdesi sia frutto della frettolosa emancipazione dalla Conferenza Metodista Britannica e non a una rinuncia teologica. La Chiesa Evangelica Metodista d’Italia viene fondata nel 1961, poi (non ricordo esattamente l’anno) intorno al 1967-69 va in bancarotta ed è costretta a vendere i gioielli di Venezia (piazza s. Marco!!) e Palermo.
    Il metodismo italiano uscì già zoppo dal fascismo, che spezzò le reni alla Grecia no, ma alla missione metodista episcopale americana sì. La seconda anima del metodismo italiano, quella massonica rappresentata dalle Chiese Libere di garibaldina memoria, uscì anch’essa indebolita da un’evangelizzazione che raggiunse i suoi massimi risultati alla fine del ‘800. Rimase l’anima britannica che raccoglieva i cocci delle altre due. Quel che molti non sanno è che la Gran Bretagna era uno dei paesi più poveri d’Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale, schiacciata dai debiti di guerra, senza Piano Marshall, perché non c’era nessun pericolo che finisse sotto l’influenza sovietica. L’Italia perse un po’ di territorio, ma non pagò una lira di debito di guerra e ricevette un sacco di aiuti. Forse per queste circostanze, la Conferenza Metodista Britannica si liberò della missione italiana in maniera (a mio modesto parere) troppo frettolosa.
    Ma chi ha “ucciso” la carica evangelista metodista è stata in fin dei conti l’efficace resilienza cattolica. Il cattolicesimo è riuscito a resistere contro ogni aspettativa alle spinte di riforma e modernità di cui le missioni evangeliche si facevano portatrici. Ecco perché la battaglia spirituale del Risorgimento (far conoscere la Bibbia agli italiani) è stata persa. Ed era quella, non l’arminianesimo, ad animare la missione metodista. Quel che è rimasto di quella carica è stato trasmesso ai valdesi, che non l’avevano!
    Il matrimonio tra valdesi e metodisti è stata un’operazione quasi “naturale” (se mi passate il termine): le famiglie valdesi e le famiglie metodiste si sposavano tra loro, si frequentavano. Certo, ci volle l’integrazione per rendere l’unione più interessante, ma in qualche maniera c’era già una sola anima. Per dirla alla Wesley, “Se il mio cuore batte insieme al tuo, allora siamo insieme”: questo è successo. La cosiddetta questione “politica” (che barba, che noia, che barba) non fu tutta questa questione all’epoca, per quanto si racconti, si recrimini, si accusi.
    La questione del dialogo coi pentecostali, poi, mi stupisce. Come non si può parlare di metodismo arminiano e valdismo calvinista, neanche i pentecostali sono sono una realtà inquadrabile in un semplice formula. Quando i metodisti e i valdesi si sono integrati in una sola unione di chiese, hanno avuto il coraggio di riconoscere questo: chi siamo noi oggi è più importante di chi siamo per tradizione. Ce l’avessimo oggi questo coraggio! E invece ancora in molti siamo ancorati in maniera feticista all’identità, alla “radice”. Eppure Gesù ci parla di frutti, non di radici.

    • Ringrazio per questo intervento il quale è tantopiù benvenuto quantopiù dissente da quanto da me esposto precedentemente. Mi piace considerare il mio blog un salotto dove si confrontano idee diverse e non una caserma. L’unione tra metodisti e valdesi di cui si tratta è fatto recente, talché non ha ancòra una compiuta rielaborazione storiografica ma è piuttosto oggetto di riecheggiamenti di cronaca. E’ in corso di stampa una dotta e corposa tesi di dottorato di ricerca presso La Sapienza che riguarda la storia del metodismo italiano; la leggeremo a breve per i tipi della editrice Viella. Nel frattempo ricordo le conversazioni avute con il valido autore. Egli ha esaminato tutta la stampa metodista disposta in ordine cronologico pervenendo alla (ovvia, a mio avviso) conclusione secondo la quale la filigrana wesleyana (evangelizzazione e santificazione) è andata gradualmente diluendosi fino alla scomparsa negli anni precedenti (e seguenti) l’unione. Che vi sia stata un’esigenza di tipo economico sono disposto a crederlo se così di si dice (matrimonio d’interesse, allora?). Che, inoltre, vi sia stata allora una prevalente valutazione di convergenze politiche credo che risulti anche da una frettolosa scorsa ai titoli di periodici e comunicati dell’epoca, quando non dai verbali e dagli atti conservati. Ma questa non è una critica al colore politico verso cui si convergeva, né alla politicizzazione. Lo storico, e io tento di esserlo, non spara giudizi di valore ma registra i fatti e cerca di ravvisarvi un senso. Ed è un fatto che l’impegno politico sia stato fatto valere allora come forma di mandato evangelico. Aggiungo che io non avrei così tanta paura di professare una mia identità né di aver care le mie radici. Sono un inguaribile conservatore e ancòra credo che nel matrimonio debbano fondersi identità diverse e complementari; il futuro della ‘coppia’ è nella fecondità risultante da tali diversità, altrimenti si è compagni di scampagnata. Sì, proprio così, non riesco a immaginare un albero che veda crescere i suoi rami verdi avendo tagliato le sue radici: Gesù non parlava solo di frutti, ma di albero buono che produce frutti buoni. Mi sarà consentito di spendere una buona parola in merito ai fratelli ‘masonevangelici’ metodisti e valdesi degli anni che furono: senza la loro resistenza, senza il loro impegno, senza la loro fede non avremmo oggi quelle strutture, belle e comode, dove ci si riunisce e si lavora. Quanto al (mancato) dialogo con i pentecostali per parlarne bisogna aver chiara la dottrina della seconda opera della grazia nel pentecostalesimo (Battesimo di Spirito santo) e nel metodismo (perfezione cristiana), in carenza di ciò si produrranno testi parziali come i due volumetti della Claudiana da me citati. Ancòra grazie per aver stimolato il mio chiarimento.

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